Israman 113, il mio primo appuntamento “agonistico” dell’anno è saltato. Non perché la gara sia andata male. Semplicemente perché non sono partito: la notte prima dello start forse perché ho dormito poco, forse per la tensione di una gara che non conoscevo, o forse perché banalmente stavo male, ho cominciato a sudare freddo. Mi sentivo la febbre addosso. E non riuscivo a scaldarmi.
La sveglia, come al solito, era fissata presto al mattino, per riuscire a fare una buona colazione prima di indossare la muta. Alle 4.30 puntuale ha suonato. Ho provato a tirarmi giù dal letto, ma non stavo in piedi: mi tremavano le gambe. Da lì a due ore, alle 6.37 per la precisione, sarei dovuto entrare in acqua. Tuffarmi con la muta davanti al mare di Eilat, Mar Rosso,
L’Israman è la più importante gara di triathlon di Israele. Si svolge, come detto, a Eilat, nell’estrema punta a sud di Israele, a fine gennaio. Un lembo di terra che dà sul Mar Rosso, dove da un lato vedi il confine con la Giordania. E dall’altro, a pochi chilometri di distanza, l’Egitto. Sembra un pezzetto di Florida. Miami Beach piantata nel mezzo del Mar Rosso. Un’oasi di Occidente, grandi alberghi, palme, mall e fast food, circondata dal mondo arabo, dal mare e dal deserto. L’Isramen si svolge su due distanze (la distanza ironman e la distanza mezzo-ironman), ed è una gara dura perché la parte in bici si dipana dietro la città costiera, lungo la strada 16 che risale il deserto del Negev.
Non è finita qui. Una volta terminata la frazione in bici comincia la corsa a piedi. E si fanno i primi 13 km, sia della mezza maratona per chi come me – circa 800 persone – era iscritto al mezzo, e sia della maratona per i 250-300 audaci iscritti al lungo – tutti in discesa. Con delle rampe che vanno all’ingiù e mettono a dura prova i garretti e le giunture dei poveri malcapitati triathleti.
Insomma, la medaglia da finisher di questa gara, per tutti questi motivi, significa più di qualcosa. Un po’ come l’Elbaman, Embrun o altri ironman di questo genere. Gli italiani, nonostante il sottoscritto, si sono ben comportati. A partire dai pro.
E poi, il Diablo, Claudio Chiappucci che ci ha accompagnato durante questo viaggio assieme a una delegazione di giornalisti triathleti guidata da Matteo Gerevini, organizzatore del Challenge Venice. Il Challenge Venice che quest’anno arriva alla sua seconda edizione, è una delle più belle gare di triathlon lungo italiane. Gara resa davvero unica dalla partenza che avviene dalla città lagunare con il centro storico di uno dei posti più belli del mondo alle spalle, con una frazione di nuoto molto veloce (è un drittone senza onde da Venezia a Mestre) e da una bici perfetta con strade chiuse durante tutta la gara, praticamente tutta in piano. E la frazione di corsa nel Parco di San giuliano con uno strappetto che rende più dura l’impresa per finire questo ironman italiano. Challenge Venice è gemellato con Israman: per questo motivo siamo stati invitati a Eilat. E assieme ChallengeVenice e Israman hanno creato una speciale classifica, TriInvictus, il “triathleta invincibile”, per chi correrà tutte e due le gare. Gli israeliani che dovrebbero cimentarsi per il lungo a Venezia sono già una 40ina. L’appuntamento con il ChallengeVenice è fissato per l’11 giugno. Sarà di sicuro un bel giorno di sport. Ma torniamo a El Diablo. La cosa forse più bella per me di questa settimana sportiva, a parte il forfait della gara, è stato il giorno prima quando con Chiappucci siamo andati a provare i primi chilometri del percorso in bici. Non so se avete presente il personaggio. Beh, per un appassionato di ciclismo trovarsi a pedalare con uno dei mostri sacri di questo sport non è mai banale. Il Diablo, nonostante gli anni, è sempre il Diablo. Testa bassa, appena la strada sale si alza sui pedali e scatta. E’ una sorta di istinto scritto nei suo geni. Non so. Qualcosa di atavico che fa da sempre e che continua a fare. Così è stato per quella passeggiata pre-gara insieme. Solo che io non sono Indurain. Un tormento. Con lui che rilanciava e io che mi staccavo. Poi piano piano cercavo di rientrare e quando ero lì per prendergli la ruota, lui ripartiva a doppia velocità. E’ stato divertente. Chiappucci, della nostra delegazione italiana, è stato l’unico a onorare la gara israeliana perché gli altri due soci giornalisti – Carlo Brena e Alberto Fumi, iscritti alla staffetta – non sono riusciti ad arrivare in fondo. Uno perché ha rotto la bici in salita (che potenza Alberto) e l’altro perché si è mezzo strappato un polpaccio correndo a più non posso in discesa… Chiappucci era uno dei tre atleti che formava la Staffetta della Pace, assieme al nuotatore olimpionico israeliano Guy Barnea, di fede ebraica, e alla podista israeliana Haneen Radi, di religione islamica. I tre hanno vinto la gara dell’Israman113 in staffetta.
Tuttavia il momento più bello per tutti noi, a parte la gara è stato all’indomani, a Tel Aviv. Matteo Gerevini nelle sue tante vite ha organizzato granfondo di ciclismo in giro per il mondo, tra Stati Uniti e Israele. In Israele qualche anno fa aveva portato la Granfondo Italy, che ha avuto un buon successo. L’aveva organizzata assieme a un amico imprenditore, appassionato di sport, Shay Rishoni. Shay quest’anno compie 50 anni. Ha una bella famiglia e una bella casa vicino al mare di Tel Aviv. E’ un Ironman, anzi un Israman perché ha concluso i 3,8km di nuoto, 180 di bici e i 42 di corsa nell’edizione del 2011 del triathlon israeliano. Sei anni fa. Poi si è ammalato. L’anno dopo, nel 2012, con la famiglia è andato a Londra per seguire le Olimpiadi, nonostante pochi mesi prima gli avessero diagnosticato una terribile malattia: la Sla. Le sue condizioni in questi anni sono progressivamente peggiorate. Ora Shay è completamente immobile. Respira grazie a una macchina a cui il suo corpo, divenuto simile a uno scafandro da subacqueo, è legato. Ma è lucido, la sua mente è viva e lucidissima. Parla con gli occhi Shay, utilizzando il video di uno speciale computer che ha sempre davanti a sé, e dove grazie a un software dedicato, muovendo le palpebre digita le parole, naviga su internet: è in contatto con il mondo caldo di chi gli è accanto e con quello virtuale. (questa la sua pagina Facebok a cui potete aggiungerlo come amico https://www.facebook.com/shay.rishoni?fref=ts ). Shay sa che non ne ha per molto ancora. E spera di riuscire a vedere i suoi figli crescere. Siamo stati a salutarlo. C’erano alcuni amici. La moglie aveva preparato un super aperitivo per gli amici italiani. Con noi c’era anche quel diablo di Claudio Chiappucci che ha autografato a Shay una maglia di Finisher del Challenge Venice.
Forza Shay. E grazie. Per sempre.